Francesca Pasini – Se il mio nome è come il tuo ...

Non capita di frequente di trovarsi di fronte al proprio omonimo, quando succede si prova uno strano allarme, perché l’intreccio di nome e cognome, che normalmente definisce l’unicità, diventa un tratto identitario multiplo. Complice un motore di ricerca, Cristiano Berti si è imbattuto nel suo omonimo attraverso un film: “Tenebre” di Dario Argento (1982). Come sempre molto cruento, rappresenta l’ambivalenza dei ruoli vittima-carnefice in una specie di scambio circolare, dove il personaggio Cristiano Berti, interpretato da John Steiner, passa da serial killer a vittima. Incontrare degli sconosciuti in tutto, tranne che nel nome, è stato l’obiettivo. Ha chiesto se erano disponibili a farsi fare un ritratto. Sei hanno accettato. E’ così entrato nelle loro case, un altro elemento essenziale nel costruire l’immagine dell’identità, ha saputo le loro date di nascita, ha captato qualcosa della loro vita. John Steiner si è ritirato dalle scene nel 1991, ha cambiato vita, ha drasticamente interrotto i legami con il cinema, ora vive a Los Angeles, ma alla fine Cristiano Berti è riuscito a parlare a Cristiano Berti / John Steiner e ad organizzare il ritratto fotografico. Si riapre il cerchio, in cui identità soggettiva, attore e personaggio sono iscritti, vale per Steiner in senso specifico, ma anche per i Cristiano Berti che hanno interpretato solo se stessi. Sono tutti in posa, in piedi: ognuno però ha scelto il proprio modo di raffigurarsi, chi con le braccia intrecciate, chi con una mano in tasca, chi appoggiata a un mobile ... La scena avviene nella loro casa, qualche elemento li lega, ma non è esplicito e anche il riferimento al film sta solo nella luce e nell’angolatura. Un caminetto, molto italiano, fa da sfondo a John Steiner e il suo volto intreccia questi Cristiano Berti con la realtà narrata dal film, dove impersonava un critico letterario. E così inserisce un’identità recitata all’interno di una polivalente realtà anagrafica. L’esito è una sintetica galleria di ritratti fotografici, intitolati Cristiano Berti: lo sconcerto e l’imbarazzo del dialogo tra omonimi risulta palese. L’unico che non è rappresentato è l’artista: il suo essere Cristiano Berti è espresso solo dalla scritta del nome e cognome. Una strategia dell’assenza che collega la realtà narrata a una situazione intercambiabile: l’omonimia è per sua natura fondata sulla graphè, rimane riconoscibile nella pronuncia, ma si perde nell’immagine. Volto, statura età tradiscono l’omologo attraverso le impronte corporee, ovvero i primi connotati della differenza. C’è in questa ricerca l’ossessione dell’individualità e anche la sua inconsistenza: già l’elenco del telefono può rivelare che non siamo i soli a portare quel nome. Un dato, che potrebbe apparire una banale coincidenza anagrafica, diventa una domanda cruciale. Quando e come la mia identità si differenzia? Fino a che punto la vita di altri, per me anonimi, interviene? E il fatto che si chiamino come me ha un significato? Ecco allora, che questa acribia nel cercare i propri omonimi assume un altro aspetto: entra in gioco la vicinanza e la distanza con l’altro, tant’è che Cristiano Berti, raffigura l’immagine del suo omonimo in modo “asettico”, nel senso che non si appropria delle loro identità: le guarda, le mette in posa anche perché lo guardino, le fa fotografare da altri, assiste, ma lascia in mezzo un vuoto. Lo si vede dalle espressioni incerte, dalla mancanza di “professionalità” nel recitare la parte di personaggio a cui viene dedicata una foto pubblica: ognuno di loro sapeva che sarebbe stata esposta in galleria. Eppure quel vuoto tra sé e l’altro Cristiano Berti lo ha attraversato prendendo l’iniziativa di telefonare, di raccontare una parte di sé molto importante, come quella di inventare un’immagine. Ma non rimanda un incontro realizzato, piuttosto il momento fluido e evanescente che sta sempre un attimo prima che le cose si compiano. Sembra che sia stata più importante la fase di ricerca, l’immaginazione di questi doppi anagrafici, la suggestione di altri da lui. Altri che, nonostante tutto, mantengono il segreto dell’anonimato. Solo il Cristiano Berti / John Steiner denuncia un’abilità nel tenere la posa, nel guardare dentro l’obiettivo; il suo è un ritratto “consapevole”, ma lui è anche l’unico che non porta questo nome. E’ una diversità molto interessante, che la macchina fotografica ha messo in evidenza, e che rimette in gioco lo scambio di ruoli. In un frammento del film si sente dire: “Cristiano Berti sta a tre isolati da qui”. Nella sequenza creata dall’artista la decisione di mantenere un vuoto, tra lui e i suoi omonimi, fa di questa frase una condizione simbolica dell’esistenza. C’è sempre un omonimo che abita a tre isolati da noi, anche se non ha il nostro nome, anche se non parla la nostra lingua, anche se non ci piace, anche se non ci incontriamo mai ... Forse, il sentirsi chiamare in un film per nome e cognome, è stato per Cristiano Berti un motivo in più per avere un incontro diretto e senza mediazione (nessuno glielo aveva presentato prima) con un altro da sé, con il quale tuttavia ha qualcosa in comune. E’ appunto questo qualcosa in comune che costituisce il processo di definizione dell’identità singola, che a sua volta non è fissa, incorre spesso nello scambio dei ruoli. Il titolo del film di Dario Argento è un’altra coincidenza significativa, c’é sempre un’oscurità tra noi e l’altro, che può assumere il significato drammatico delle Tenebre, oppure, come suggerisce Cristiano Berti, mantenere un carattere di vuoto. E’ stato casuale che il suo nome apparisse in un film di Dario Argento, ma non lo è il modo con cui Cristiano Berti si è distanziato dalle suggestioni del film, accennando soltanto all’ambiguità e all’indefinitezza dello scambio di ruolo: nel film è tra vittima e carnefice, nella galleria dei suoi ritratti è tra sé e l’altro. C’è anche un altro scambio: tra un film di genere e una ricerca dell’arte. Infatti, Cristiano Berti non nasconde la provenienza della sua idea, non la presenta come una sua curiosità, ma come un dialogo con chi gli aveva mostrato il suo doppio nominale. Quand’è che si forma un’idea? Chi la suggerisce per primo? Anonimi e omonimi rendono evidente quel “vuoto” che ognuno deve fare dentro di sé per creare idee, sentimenti, visioni.

© Francesca Pasini, 2003
da: Cristiano Berti, catalogo della mostra, Carbone.to, Torino, 2003